Dolore cronico

Per dolore si intende “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata o simile a quella associata a un danno tissutale reale o potenziale” (I.A.S.P 2020). Quando dura oltre 12 settimane viene generalmente definito ‘dolore cronico’.

Rappresenta un meccanismo protettivo utilizzato dal cervello per segnalare un pericolo vero o presunto per l’integrità corporea.

Tale funzione protettiva, tuttavia, tende a perdersi quando, per una serie di motivi, il dolore perdura molto a lungo nel tempo, anche oltre il venir meno della causa scatenante iniziale — sia essa una lesione o un’infiammazione.

In tale situazione, il sommarsi di fattori biologici quali le modifiche plastiche dei circuiti neurali di conduzione ed elaborazione delle informazioni nocicettive (‘sensibiliizzazione periferica’ e ‘sensibilizzazione centrale’) e fattori psico-sociali quali ansia, depressione, stress, instabilità lavorativa o relazionale, possono determinare la cronicizzazione dell’esperienza dolorosa.

Il dolore ha perso la funzione di protezione e di segnalazione di un pericolo percepito, non rispecchia più la reale condizione dei tessuti, altera la percezione del proprio corpo e il controllo dei movimenti e si trascina spesso dietro l’abbandono dell’attività fisica, ricreativa e di svago, ansia e preoccupazione.

Il dolore cronico spesso si auto-alimenta in quanto sovente associato a frustrazione, rabbia, percezione d’ingiustizia, disperazione e auto-colpevolizzazione, rendendo ostica la sua gestione e vanificando l’efficacia degli approcci farmacologici generalmente proposti.

Per la gestione del dolore cronico è importante somministrare trattamenti multidisciplinari che uniscano interventi passivi quali terapia manuale (ad es. osteopatia) e attivi quali l’esercizio terapeutico e gli approcci cognitivo-comportamentali (‘educazione al dolore’ o ‘Pain neuroscience education’, anche col supporto dello psico-terapeuta).

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