Che differenza c’è tra fisioterapia e osteopatia?

La Fisioterapia nasce a inizio ‘800 in Svezia, prendendo ispirazione da pratiche di ginnastica medica provenienti dall’estremo oriente e si diffonde in tutta Europa e in America, spinta dal supporto economico e politico della casa reale e della nobiltà svedesi.

Si caratterizza agli inizi per l’ampio ricorso a esercizi di “ginnastica medica” e, meno, per l’utilizzo di tecniche manuali di mobilizzazione e manipolazione di ossa, muscoli, nervi e visceri applicate alle più disparate patologie muscolo-scheletriche e internistiche (parte di tale conoscenza verrà in seguito abbandonata per molti decenni, sostituita dall’uso del massaggio e delle correnti elettriche a scopo terapeutico).

Tra gli approcci attualmente utilizzati figurano la terapia manuale ortopedica (mobilizzazioni e manipolazioni muscolo-scheletriche, tessutali e nervose), l’esercizio terapeutico (esercizi adattati alle varie patologie, condizioni algiche o finalizzato al recupero post-traumatico o post-chirurgico), la terapia fisica (elettro-terapie, vibrazioni meccano-sonore, impulsi elettro-magnetici di vario tipo) e l’educazione al dolore (riconcettualizzazione dei meccanismi alla base del dolore muscolo-scheletrico cronico e strategie cognitivo-comportamentali utili per farvi fronte).

Sebbene in Italia si tenda ancora a eccedere nell’utilizzo degli elettromedicali, negli ultimi 30 anni la Fisioterapia mondiale, parallelamente alla riconquista di un certo grado di autonomia rispetto alla classe medica, ha progressivamente riportato sempre di più l’esercizio terapeutico al centro del proprio operato, forte della mole imponente di studi scientifici che ne supportano l’efficacia.

Il percorso formativo del fisioterapista in Italia prevede attualmente una laurea triennale più un eventuale biennio di laurea magistrale e/o vari master universitari. Per esercitare la professione è necessaria l’iscrizione all’Ordine OFI territoriale.

L’Osteopatia nasce negli Stati Uniti a fine ‘800, traendo grande ispirazione dalle pratiche degli “aggiusta-ossa” (bone-setters) e nutrendosi dell’humus socio-culturale-religioso dell’America profonda dell’epoca. 

Raggiunge il continente europeo a inizio ‘900 rendendosi formalmente indipendente dalla professione medica (negli USA è sempre stata appannaggio dei medici, per i quali rappresenta attualmente un percorso di specializzazione) e progressivamente si diffonde in tutto il continente raggiungendo a inizio anni ’80 la penisola italica. 

L’Osteopatia si configura sin dall’inizio come una Medicina a forte impronta “olistica”, fondata quasi esclusivamente su approcci manipolativi passivi mediante un ricchissimo bagaglio di mobilizzazioni e manipolazioni muscolo-scheletriche, tessutali, viscerali e craniali e sviluppa una propria filosofia di trattamento peculiare, indipendente dalle altre professioni sanitarie esistenti.

Il percorso formativo dell’osteopatia in Italia è attualmente in fase di regolamentazione a seguito della riforma della sanità del 2018 che ha portato al riconoscimento dell’Osteopatia come nuova professione sanitaria. 

Se in precedenza tale formazione (di 5-6 anni) era delegata a istituti di formazione privati extra-universitari, il futuro formativo prevederà, inizialmente, un percorso universitario triennale, non appena verranno emanati i relativi decreti attuati in divenire. 

Seguiranno ulteriori provvedimenti normativi volti all’eventuale equiparazione dei diplomati formati nel pregresso ordinamento (o in possesso di titoli accademici acquisiti in paesi UE in cui la professione era già regolamentata) ai futuri laureati in Osteopatia.

Sebbene l’Osteopatia si sia storicamente sempre occupata di patologie, seppur indirettamente tramite la ricerca e il trattamento di disfunzioni a carico dei vari sistemi di (auto-)regolazione corporei — in linea con la propria filosofia “olistica” di approccio — la futura professione prevederà la possibilità di lavorare soltanto in ambito preventivo (primario e secondario) e in assenza di una patologia diagnosticata.

Ma allora, all’atto pratico, quali sono, dunque, le differenze tra le due discipline?

Fisioterapia e Osteopatia utilizzano approcci in parte sovrapponibili — diverse tecniche di trattamento manuale sono identiche — sebbene guidati da razionali terapeutici spesso piuttosto differenti. 

In ambito osteopatico, si pone più enfasi sull’adozione di approcci manuali delicati basati su capacità percettive/sensoriali molto fini e sviluppate (ad es. tecniche indirette, cranio-sacrali, fasciali…), sulla valutazione palpatoria dello stato di salute del paziente e sull’impiego esclusivo di una miriade di tecniche manuali, talvolta molto sofisticate.

I fisioterapisti, al contrario, prediligono tendenzialmente mescolare trattamenti passivi (ad es. terapia manuale e/o terapie fisiche quali laser, diatermia, onde d’urto ecc.) e attivi (esercizi di mobilità, rinforzo e coordinazione).

Laddove i fisioterapisti sono soliti prestare molta attenzione alle funzioni neuro-motorie deficitarie,  alla sede del dolore riferito e alle strutture in diretta connessione, gli osteopati tendono a ragionare in maniera un po’ più globale, allargando il focus anche a sistemi remoti quali il cosiddetto ‘sistema cranio-sacrale’ (semplificando: strutture connettivali che collegano l’interno della scatola cranica con l’osso sacro) e a organi e visceri in relazione neurologica/anatomica con la sede del dolore riferito o che rivestono funzioni endocrine importanti per l’omeostasi generale.

Volendo elencare in estrema sintesi, senza pretesa di esaustività, le differenze tra le due discipline:

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